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Didattica della Storia e della Filosofia
I diritti nella storia francese e americana

La proclamazione francese dei diritti diede luogo all’idea -o meglio, all’ideologia- della codificazione, cioè l’idea della fondazione ex novo di tutto il diritto in un sistema positivo di norme precise e complete, condizionato soltanto alla coerenza con i suoi principi ispiratori.Il compito della realizzazione e della protezione dei diritti era incondizionatamente del legislatore. La forza della legge era la stessa cosa della forza dei diritti.Si verificò così quello che può apparire un paradosso: nel Paese in cui il contributo saliente allo sviluppo delle concezioni costituzionali è rappresentato senza dubbio dai diritti umani, ciò che si affermò non fu la centralità dei diritti ma quello che si è denominato il “légicentrisme”.Non si ebbe così la sottomissione della legge al controllo dei diritti ma, al contrario, si ebbe il controllo di legalità dei diritti, la cui vera “costituzione” giuridicamente operante non fu la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino ma il Codice civile, non per nulla frequentemente denominato la “Costituzione della borghesia” liberale.

Il diritto costituzionale europeo contemporaneo riconosce ai singoli una”dotazione di diritti” originaria, indipendente e protetta nei confronti della legge. Sotto questo aspetto si distacca dalla concezione rivoluzionaria della Francia e si avvicina alla tradizione costituzionale nordamericana. La Declaration of Rights della Virginia del 1776 parla esplicitamente dei diritti come “basis and foundation of Government” e la Dichiarazione d’indipendenza dello stesso anno contiene le famose parole che affermano “ Noi riteniamo che le seguenti verità siano per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili , che fra questi vi sono la Vita, la Libertà, e la ricerca della Felicità; che allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi”. Qui stava una vera e propria “rivoluzione copernicana”, un taglio “epocale” nel modo tradizionale di intendere i rapporti tra lo Stato e i singoli, consistente nel rovesciamento dei rapporti consueti e nella fondazione del primo sui diritti dei secondi, e non viceversa, come era stata invece fino ad allora l’intera tradizione del diritto pubblico europeo. Una tradizione dalla quale –come si è visto- la Rivoluzione francese non si era distaccata ma che si era limitata a rinnovare sostituendo la legge al comando monarchico.

La caratteristica saliente delle Dichiarazioni americane sta nella fondazione dei diritti in una sfera giuridica che precede il diritto che può essere posto da qualunque legislatore. Essi erano un patrimonio soggettivo vigente di per sé, da mantenere inalterato e proteggere contro tutte le possibili minacce, prima da quelle esterne provenienti dal Parlamento inglese e poi da quelle interne che avrebbero potuto nascere da un legislatore onnipotente.

La differenza di senso delle dichiarazioni nordamericane rispetto a quella francese deriva dalla circostanza storica che colà i diritti si consideravano non un compito per il legislatore ma una realtà da garantire dai rischi che avrebbero potuto nascere se fosse stata adottata una clausola come la sovereignity of the Parliament o il rule of law inglese, quale si era venuto configurando alla fine del XVIII secolo.

I diritti, in quanto patrimonio soggettivo indipendente, costituivano i singoli come soggetti attivi originari e sovrani e così rendevano possibile l’atto di delega costituzionale, fondando il Government e, in esso, il potere legislativo. La legge, si può dire, derivava dai diritti, esattamente al contrario di quel che accadeva in Francia, dove erano i diritti che derivavano dalla legge. Qui, la sovranità della legge; là, la sovranità dei diritti.

Conseguiva da tutto questo un atteggiamento verso la legge che -a differenza della Francia rivoluzionaria- era di cautela. Mentre là dalla legge ci si attendeva ogni bene, qui vi si vedeva un male potenziale che doveva essere neutralizzato. La concezione individualistica dei diritti come patrimonio naturale portava alla diffidenza verso le assemblee onnipotenti nelle quali si perdono le coscienze individuali.

Anteporre alla legge i diritti significava richiamarsi ad una concezione del diritto non esclusivamente “positiva”.

In America il potere giudiziario trovava le basi della sua espansione in ciò che mancava in Inghilterra: un higer Law, la Costituzione, nel quale i diritti vengono assunti come realtà presupposta al diritto legislativo. Attingendo a questo inesauribile “thesaurus”, i giudici possono continuamente dotarsi di argomenti costituzionali, inconfutabili da un legislatore la cui autorità è posta al di sotto dei diritti. Quale sia stato il contributo creativo dato dai giudici statunitensi alla creazione nel tempo di un diritto costituzionale giurisprudenziale, perfino più importante di quello che si legge nella Costituzione federale, non è nemmeno il caso di dire.

 

Gustavo Zagrebelsky
Da Il diritto mite, Einaudi, 1992

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