|
|||||
1) Nel testo di Ugo Grozio c’è un riferimento molto preciso ed esplicito riguardo alla “guerra giusta”. Essa è definita quasi come una procedura giudiziaria, da attuarsi qualora sia impossibile nel modo più assoluto controllare tramite gli “iter” giurisprudenziali convenzionali (o, a mio parere, anche diplomatici) alcuni particolari soggetti, o associazioni di questi, che “non si sottomettono o che si ritengono in grado di non sottomettersi”(U. Grozio, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace). Tuttavia, secondo la mia opinione, la definizione di cui sopra, che allora ebbe senz’altro molto successo, grazie anche alle citazioni di eminenti autori greci, Demostene in primo luogo, non è di immediata comprensione, anzi, è decisamente criptica, nonché foriera di abbondanti ambiguità. Non è chiaro, in primis, di quale tipo di leggi si stia parlando: economiche, militari o civili? Questa prima mancanza di chiarezza si collega strettamente con la citazione di cui sopra: l’interpretazione della parola “sottomessi”. Nel caso in cui si stia parlando di fazioni più o meno organizzate di dissidenti, associazioni a delinquere con funzione parastatale, come, ad esempio, la mafia o, comunque, tutti quei problemi di ordine pubblico interni ad un singolo stato, il problema non si pone: è chiaro, al mio punto di vista, che le leggi alle quali l’autore si riferisce in modo così vago sono quelle stabilite dalle singole Costituzioni e\o legislazioni prese nella loro fattispecie; ma, se, al contrario chi “non si sottomette o ritiene di non doversi sottomettere” fosse uno Stato estero, l’interpretazione si trasforma subito in uno tanto acrobatico quanto pericoloso tentativo di attraversare un campo minato. Infatti, interpretando la parola “leggi”, o, meglio, “diritto”, come un trattato atto alla regolazione del potenziale militare, sia dal punto di vista delle risorse umane (limitazione del numero degli effettivi) che da quello delle risorse materiali (limitazione, ad esempio, del tonnellaggio delle navi da battaglia o del numero di carri armati producibili da un numero circoscritto di fabbriche, come accadde dopo la Prima Guerra Mondiale) sottoscritto da una federazione di nazioni, per l’autore sarebbe, quindi, lecito che essa muova guerra a tutti gli Stati Esteri che, in base alla propria autonomia, decidessero di non sottostare al dato trattato. Variando anche in modo pesante l’interpretazione di “diritto”, purtroppo, la situazione presenterebbe variazioni minime e scarsamente apprezzabili, che non altererebbero il procedimento, descritto sopra, di forte (e legittimata dall’autore!) e violenta prevaricazione nei confronti di altri stati, o entità politiche, colpevoli, salvo casi estremi, di agire secondo la loro autonomia.
2) Quello delle cosiddette “legislazioni militari” è sempre stato uno dei più controversi temi della politica e della società moderna, sul quale una grande moltitudine di filosofi, teoreti, pensatori, uomini di Chiesa, politici (sia come singoli che come fazioni o partiti), studenti impegnati e non, e, perché no, anche folle inferocite prossime alla rivolta (non c’è bisogno di spulciare e sviscerare polverosi ed antichissimi tomi di storia nascosti nei più reconditi recessi di ancor più oscure biblioteche per verificare la veridicità dell’ ultima affermazione: è, purtroppo, sufficientemente esauriente pensare ai tristi avvenimenti degli ultimi tempi, precisamente ai video ed alle foto più o meno ufficiali che ci mostrano il comportamento dei soldati occidentali nei riguardi di prigionieri, feriti e civili iracheni). Per non tacere, poi, degli innumerevoli ufficiali delle più eterogenee forzearmate, di quelli che nel gergo di chi s’intende di affari militari vengono definiti “consulenti esterni” e di una cosmopolita accozzaglia di capi di stato e\o Comandanti Supremi, i quali, nel corso della Storia delle Guerre dell’Uomo, ci hanno fornito chiari ed esaurienti esempi (ogni riferimento a personaggi che rispondono a nomi tipo Stalin, Tito, Adolf Hitler e compagni di merenda vari non è puramente casuale) di quale fosse l’uso al quale avevano deputato i Codici di Guerra. L’attenzione dimostrata, come è stato scritto in precedenza, da parte di similinonché rilevanti quantità di popolazione a proposito di tale argomento ci fa capire la sua importanza e, conseguenzialmente, la necessità di venire a capo di un problema che sembra tanto, troppo lontano fino a quando le bombe non incominciano a cadere nel nostro cortile. Può quasi considerarsi un processo naturale quello che, dato il massiccio interessamento (ed il non inferiore spremimento di meningi e consumo di neuroni) da parte di alcune tra le più brillanti ed analitiche intelligenze del genere umano, ha portato alla creazione di un numero quasi innumerevole di soluzioni di ogni tipo: etiche, morali, legislative o basate sulla forza, giusto per fare un esempio. Ma sfortunatamente (o, a seconde delle proprie personali opinioni in merito, fortunatamente) la teoria epicurea della ”molteplicità delle soluzioni”, che tanto rende felici gli studenti, nel mondo reale ha poca utilità, quindi la soluzione dovrebbe essere unica ed universale. In questa istanza prenderemo in esame il risultato ottenuto dallo storico Ugo Grozio nei suoi “Prolegomeni al diritto della guerra e della pace” (1625). Egli scrive ”[…]Tacciano dunque le leggi in tempo di guerra: ma quelle civili e processuali e proprie del tempo di pace, non le altre, eterne, che convengono a tutti i tempi; benissimo infatti fu detto da Dione di Prusia che fra i nemici non valgono, è vero, le leggi scritte, ossia quelle civili, ma valgono tuttavia quelle non scritte, ossia quelle dettate dalla natura o istituite dal consenso dei popoli[…]”. Si tratta certo di una proposta molto interessante, anche se sa un po’ di“già sentito”, ma sarebbe senza ombra di dubbio motivo di vanto e di magna e suprema lode per l’intera razza umana SE essa fosse in grado di metterla in atto. Infatti io, personalmente, ritengo che la soluzione proposta da Ugo Grozio sia decisamente impossibile da attuarsi, almeno nello stato attuale delle cose, e che sia equiparabile alla frase pronunciata dalla famosa volpe nei confronti dell’uva (“Tanto non è ancora matura…”) per cercare di giustificare in qualche modo a sé stessa il mancato raggiungimento dell’obbiettivo. A mio modestissimo parere la filosofia e la dialettica in generale,nonostante la grande ammirazione che provo nei loro confronti, sono elementi di un “mondo a parte”, che purtroppo, pur permettendoci di godere appieno di noi stessi e del nostro mondo, nella realtà, fatta di cose concrete ed istanze sensibili e che necessita, quindi, di soluzioni altrettanto reali, sono di scarso aiuto materiale. Mi sembra troppo facile, per risolvere un simile problema, basarci solo sull’aiuto del buon senso e sulla natura, specie in un momento come la guerra, dove i più biechi istinti dell’uomo divampano come lingue di fuoco giusto per permettere ai soldati di morire un passo più in là. Ma se, per in motivi di cui sopra, la soluzione di Ugo Grozio è troppo semplicistica, per gli stessi fattori risulta impossibile raggiungere il risultato auspicato con un sistema di leggi positive, per quanto severe esse possano essere. In che modo, infatti, si potrebbe essere sicuri che il personale delle forze armate si comporti secondo tali norme? Vari metodi sono stati ideati, ma quello che al giorno d’oggi và per la maggiore è quello dei cosiddetti “spotters”, o “osservatori”, cioè militari (molto spesso ufficiali del Servizio Informazioni) che vengono spediti un po’ qui ed un po’ là (naturalmente con largo anticipo) e che, spesso e volentieri, o sono partecipi, sia per cattiveria che per sordidi interessi economici, di violazioni alle stesse norme di cui dovrebbero garantire l’osservanza,o vengono puntualmente ingannati dalle truppe sulle quali hanno ordine di vigilare, che presentano loro fittizi scenari che quasi riprendono i topòi del “locus amenus” stilnovista, dove i prigionieri sono trattati con rispetto e la popolazione civile non subisce violenza (i nazisti fecero una cosa simile in unodei loro biechi campi di morte, per ingannare gli spotters della Croce Rossa). Con simili precedenti la situazione non è certo rosea… Ma allora, come possiamo risolvere il problema delle”leggi di guerra”, facendo in modo che esse siano rispettate universalmente? Il percorso è certo erto e periglioso, tuttavia ritengo che un buon punto di partenza sarebbe quello di intervenire su tale argomento fin dalla fanciullezza, utilizzando metodi educativi basati sul reciproco rispetto, e non sulla legge del più forte. Certo, anche la soluzione da me proposta è un po’ semplicistica: in fondo, sto solo cercando di modificare la natura umana, cosa credete che sia? A questo proposito mi torna, però, in mente una massima di un grande pensatore moderno, di cui non ricordo il nome: “Non smettere mai di provare Fallisci Prova ancora Fallisci meglio.”
3) Nei suoi “Prolegomeni al diritto della guerra e della pace” Ugo Grozio si riferisce ai pacifisti in generale, ed a Erasmo da Rotterdam in particolare, con questi termini: ”[…] Di fronte a tale efferatezza, molti uomini certamente tutt’altro che cattivi sono arrivati fino al punto di proibire totalmente l’uso delle armi ai cristiani… ed a costoro sembrano talvolta accostarsi Giovanni Wild ed il compatriota Erasmo, uomini amantissimi della pace tanto religiosa quanto civile, ma con l’intenzione, secondo me dannosa, con cui siamo usi piegare in senso opposto gli oggetti incurvatisi[…]”. Da queste parole si evince facilmente come l’autore provasse sentimenti non totalmente negativi nei confronti di Erasmo da Rotterdam e dei pacifisti ad oltranza. Egli, infatti, asserisce che essi sono “uomini amantissimi della pace”, ma che il loro modo di porre rimedio alle efferatezze che vengono compiute in guerra (“[…]con cui siamo usi piegare in senso opposto gli oggetti incurvatisi[…]”) possa portare, a lungo andare, effetti più maligni che benigni. Tuttavia, a mio parere, emerge dalle parole di Ugo Grozio una sorta di ammirazione nei confronti di tali uomini, che sono riusciti ad ideare una soluzione concreta, per quanto poco auspicabile, ad un problema di tale portata; mentre lo stesso Ugo Grozio si riduce a “predicare” le “leggi naturali universali”, tanto belle dal punto di vista teoretico ma prive, oggi più di ieri, di valore reale. Questa volta mi trovo, caso strano, d’accordo con l’opinione dell’autore, poiché ritengo, per usare le sue stesse metafore, che se si piega con troppa forza un oggetto incurvato per ridargli l’originaria forma, si finisce per spezzarlo. Infatti il divieto assoluto, e nel termine “assoluto” devono intendersi comprese anche le Forze Armate e gli Organi di P.S., non solo rappresenta una grande prevaricazione dello Stato nei confronti della libertà dei suoi appartenenti, ma espone anche lo Stato in sé a pericoli evitabili operando un severo controllo del possesso di armi da parte dei cittadini e degli organi atti a difenderli. Una simile scelta, dal punto di vista della preservazione dello Stato, fa acqua da tutte le parti. Valutiamo, infatti, quale sarebbe stata nel 1625 la situazione di un organismo statale organizzato secondo una totale proibizione degli oggetti atti ad offendere propriamente detti: in un’età definita “Il Secolo di Ferro”, un simile Stato sarebbe presto diventato vittima delle brame espansionistiche di qualche altra grande nazione europea, ad esempio Francia ed Inghilterra, che senza colpo ferire, approfittando della situazione favorevole, (ricordiamo che i cittadini non si sarebbero potuti difendere, né avrebbero avuto qualcuno che li difendesse) avrebbe potuto saccheggiare, depredare ed usare ogni forma di violenza nei confronti dei poveri abitanti, magari adducendo come scusa la diversità di religione. Tralasciando, per ora, la politica estera e interessandoci, invece, di quella interna, è semplice notare come questo paese sarebbe stato facile preda di criminali, furfanti, malviventi e barabba d’ogni risma. È, infatti, risaputo che, anche nello Stato più abolizionista e proibizionista del pianeta, i malfattori siano sempre ben riforniti di armi: vi immaginate cosa accadrebbe in uno Stato dove gli Organi di P.S. non sono nemmeno in grado di difendere i loro stessi membri, figuriamoci i cittadini? Senza alcuna fatica, organizzazioni criminali parastatali quali la mafia e\o fazioni ben organizzate di dissidenti politici prenderebbero il controllo del paese, con tutto il male che ne consegue. Anche dal punto di vista commerciale la soluzione di Erasmo da Rotterdam mostra la sua inadeguatezza: lo Stato Senz’Armi avrebbe avuto i suoi bei problemi a difendere le proprie navi ed i propri mercanti in viaggio verso terre lontane da predoni, pirati e nemici vari, anche perché, ricordiamo, lo Stato Senz’Armi, per la sua particolare conformazione, non può ricorrere agli eserciti mercenari. Anche se queste possono sembrare ipotesi lontane ed inadeguate, pur essendo quello evidenziato nella seconda un fattore da tenere sotto controllo, io ritengo che fra i primi doveri di uno Stato ci sia quello di provvedere alla sicurezza e alla difesa dei suoi cittadini, cosa che dovrà essere operata tramite la creazione di Forze Armate ed Organi di P.S. adeguati,e permettendo alle categorie di persone più a rischio di portare un’arma per difesa (dietro severissimi test psico-attitudinali), almeno finchè la situazione nel mondo non sia radicalmente migliorata. A questo proposito vorrei concludere con una frase che potrebbe anche sembrare scontata: “In un mondo pieno di lupi, caro figliolo, è meglio che ti prepari ad usare il bastone”.
|
|